"Inseguo un sogno". Ora si è avverato: Elena Carnevali è la prima sindaca di Bergamo - Bergamonews (2024)

Bergamo. C’è che si è messa di nuovo il suo abito portafortuna. E c’è che il rosso le dona. Lo ha scelto per la chiusura della sua campagna elettorale, in Largo Rezzara, dove tutto è cominciato.

Era scesa in piazza, in mezzo al suo popolo: un bagno di folla, quello del giorno del lancio della sua campagna elettorale, in cui la si vedeva, sì, ma non la si guardava. Oggi sì. La si guarda, eccome, vestita di tutto punto. E quello che che si vede, nel suo tailleur di lino, rosso, non è tanto una bella donna, quanto una donna che ce l’ha fatta. Non una cosa propriamente scontata.

Elena Carnevali, la prima sindaca di Bergamo. La prima dopo 78 anni, da quando anche alle donne è stato concesso di votare. La prima per la città e della città. Un traguardo storico, una svolta epocale. Ed è tutta sua. Lei che è cresciuta moltissimo in questa campagna elettorale, che ha dovuto “lottare” per conquistarsi il posto. Come, del resto, accade quasi sempre alle donne. I tornanti sono stati tanti, ma in vetta c’è arrivata. Eccome.

“Elena è capace di andare a raccogliere fino all’ultimo voto”, il mantra di otto mesi di campagna elettorale. “Elena è vicina alle persone, sa ascoltare”. E ancora, “Elena ha fatto l’assessore ai Servizi Sociali, stare con la gente è il suo pane quotidiano”. Ma quello che ha fatto davvero la differenza, in questa avventura chiamata Palazzo Frizzoni, non è stato solo il suo vissuto politico quanto la sua valigia colma di esperienza e preparazione. Studiosa, precisa, ambiziosa e iper critica nei confronti di se stessa, secchiona, alla ricerca della perfezione. Sempre pronta a misurarsi, a guardarsi allo specchio e a vedere prima i difetti, e poi i pregi.

Mai ceduto di un centimetro. Non lo ha fatto quando ha corso per guadagnarsi il ruolo di candidata, quando ha incassato i colpi bassi sferrati durante la campagna elettorale. Nemmeno quando, ad avventura appena intrapresa, i mugugni si facevano sentire. Gli stessi che, magicamente, a risultato acquisito, si sono trasformati in fragorosi battiti di mani.

Alle critiche ha risposto con il sorriso. Lo stesso che ha sfoderato quando ha parlato dell’orgoglio di essere la prima donna a diventare sindaco. Al suo quartier generale, dove è arrivata a piedi con il suo Guido. L’uomo che la commuove e la rincuora. Chissà quante volte avrà condiviso con lui le fatiche, le preoccupazioni e le paure di non farcela. Del resto non è facile sentirsi tutti gli occhi puntati addosso. Dimostrare di essere all’altezza di raccogliere un’eredità tanto importante quanto ingombrante di uno come Giorgio Gori che non è passato certo inosservato. Le sue oltre 200mila preferenze targate Europa la dicono lunga.

Ma, benché la retorica si sprechi in questo senso, alle donne serve sempre uno scatto in più.

Elena Carnevali, si sa, non è nuova alla gestione della cosa pubblica. È stata assessora. A cosa? Ai servizi sociali. Un settore che è sempre stato delegato alle donne. Il settore della cura dei più deboli. Perché è così nella società: genitori anziani, bimbi con problemi, situazioni famigliari complicate sono appannaggio delle donne. C’è chi si è lamentato, chi si è ribellato considerando una diminutio questo ruolo. Chiedendo a gran voce che alle donne venissero assegnati anche compiti in ambiti ritenuti più importanti, più prestigiosi. Bilancio, urbanistica: roba così. Invece no. La cura, l’attenzione ai fragili sta diventando sempre più tema dominante.

Non il prodotto, non le cose: il servizio è quello di cui il cittadino sente oggi il bisogno. Perché la solitudine, la fatica, le difficoltà della vita quotidiana emergono dirompenti laddove c’è una fragilità: un nonno allettato, un figlio autistico, una famiglia spezzata. E un numero sempre maggiore di cittadini fa i conti con queste realtà.

E Carnevali lo sa, l’ha mostrato quando gestiva l’assessorato, ha continuato a prestare attenzione nella lunga campagna elettorale di piazza in piazza, di quartiere in quartiere. Che stia proprio lì la chiave del successo? Che sia proprio quella la marcia in più?

“Inseguo un sogno, a 59 anni”, mi ha raccontato una mattina di primavera davanti a un caffè. E ha fatto bene. Perché per i desideri non c’è un tempo. Perché l’orologio della felicità non ha mai le pile scariche e la lancetta non si ferma mai. Anche se oggi l’ha fatto.

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E perché oggi che i tornanti sono finiti, lei in cima ci è arrivata. E guarda dall’alto. La vista è bellissima. “Vedrai che Bergamo”, così ci ha detto. La sua e quella dei suoi cittadini. Tutti.

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